giovedì 1 luglio 2010

Concerto di Oviglio



Oviglio un anno dopo.
La maggior parte dei musicisti visti in quest’ultima occasione non sono cambiati.
Manca Rodolfo Maltese, ma è presente Lucio “violino”Fabbri. Avrebbe dovuto esserci anche G.L. Tagliavini, ma da queste parti non si è visto e così svanisce la possibilità di ascoltare i brani della PFM interpretati contemporaneamente da tre uomini della line up, vecchia e nuova.
A dire il vero i due rimasti, Lanzetti e Fabbri, si ritrovano sul palco, a stretto contatto, ma è per un tributo a Dylan e Beatles.
Qualche mistero al riguardo aleggia nell’aria … ma sono solo leggende metropolitane … o no?
Dunque un altro sforzo di Franco Taulino e della Beggar’s Farm.
Il doppio ruolo è ormai noto: Franco oltre a suonare è l’ideatore e coordinatore di tutti questi eventi e la Beggar’s è la miglior formazione possibile per qualsiasi musicista affermato e non, una sorta di maestri di alchimia che trasformano in realtà i sogni di pubblico e artisti.
Un grossa nota di merito va anche a Franco Castaldo, che in queste occasioni è bene depurare del ruolo di Prefetto di Alessandria e considerare solo come un “batterista”, amante della musica. Inutile nascondere il fatto che molti( io compreso) hanno storto il naso, ad esempio, vedendolo suonare tra Ian Paice e Clive Bunker, evidenziando un solco incolmabile tra LUI e LORO, ma, se si accantona il rigore che spesso ci accompagna nei giudizi relativi a cose che amiamo molto, e si considera che Castaldo è un grande amante della “nostra” musica, non possiamo che ringraziarlo per l’impegno che mette nel creare i presupposti per la realizzazione di grandi eventi, non dimentichiamo, gratuiti per il pubblico.
Mi ha confessato di essere rimasto un po’ dispiaciuto per un errore su “We used to know”, nel concerto di Volpedo, ma è un peccato veniale.
Ancora una mia considerazione di carattere generale.
In poco più di un anno, la Taulino’s Organisation ci ha fatto vedere artisti che per molti spettatori rappresentano i miti della vita.
Parliamo di membri old and new dei Jethro Tull, e molti italiani, anch’essi spesso“sogni irrealizzabili”.
Queste miscele, come spesso ho raccontato, hanno la prerogativa di presentare un palco amalgamato, e l’integrazione sembra cosa consolidata, anche se magari le prove sono limitatissime. Tutto funziona meglio, secondo me, con “gli italiani”.
Ovviamente avere disponibile un animale da palcoscenico come Bernardo Lanzetti facilita la coesione e favorisce l’interattività col pubblico, per me elemento fondamentale, ma la freddezza, almeno apparente, di certi nomi d’oltremanica, non determina lo stesso risultato visto ad Oviglio.
Volpedo resterà per sempre nel cuore e nella testa dei presenti ( lo stesso Bernardo mi ha raccontato dei brividi provati il 5 giugno), ma anche questa serata si incollerà tra i miei ricordi musicali migliori:

Se potessi quindi dare un piccolo consiglio a Franco, da mero esterno, inconsapevole degli ingranaggi organizzativi relativi a qu
esti concerti, direi che “il percorso italiano” da maggior risultati (e forse riduce i costi), anche se io un Dave Jackson lo presenterei in tutte le salse possibili.
Serata divisa in due parti, con i Black Eden in apertura, come lo scorso anno.
L’arrivo ritardato non mi ha permesso di ascoltarli adeguatamente, ma ho il sentore del gradimento del pubblico più”rockettaro”
L’atmosfera è festaiola, da sagra, tra stand culinari e giochi per bimbi.
Il pubblico appare eterogeneo, anagraficamente parlando, ma è prevalentemente formato da”maturi”… ovviamente.
Devo dire che il paese di Oviglio, possiede un certo fascino antico, amplificato dalla presenza del “reale Castello”, un tempo roccaforte medioevale, acquistato successivamente dalla Regina Cristina di Savoia. Il feeling del turista obbligato (dal concerto) , approcciando il paese, predispone positivamente per una serata serena, fatto non trascurabile.
I miei meeting musicali sono fatti anche di incontri con vecchie e nuove conoscenze, con cui si allacciano rapporti personali e con cui si discute di passato e di progetti futuri.
Nell’occasione ho avuto l’opportunità di conoscere Lucio Fabbri, che per me era già un nome importante quando leggevo le note relative ad alcuni dischi di Finardi, e avevo più o meno vent’anni( e lui poco di più).
Ricordandogli che lo avevo visto pochi anni prima a Savona, con la PFM (primo concerto di mia figlia, allora dodicenne) ho riflettuto sul fatto che dal 2006 ad oggi, il Teatro Chiabrera ha accolto nell’ordine, una per anno, le seguenti formazioni:

PFM, BANCO,ORME,OSANNA.

Ciò che per me era il prog italiano della prima ondata è tornato sul luogo del delitto a distanza di 35/40 anni.
Il prog continua a “tirare”, e anche questi possono essere spunti di riflessione per mister Taulino!
Il concerto si apre col primo ospite, Aldo Ascolese.
So che non è al pieno della forma, per un malessere del giorno precedente, ma nessuno nota defaillance e De Andrè si materializza sul palco.
Look tra il pirata e il vecchio uomo di mare genovese, Aldo presenta la sua timbrica innaturale (nel senso della somiglianza con Fabrizio) e regala a un pubblico più “montano” le storie del porto di Genova e dei vicoli di via Prè. Apparirà in due tempi distinti, regalandoci brani come “Creuza de ma” , “Un giudice”, “Il pescatore”, "Bocca di rosa" e “ Volta la carta”. In alcuni frammenti, la sua voce e la sua chitarra si intrecceranno col violino di Fabbri per far rinasce la magia del tour PFM/De Andrè.
Aldo non è solo musicista, ma ha anche una grande passione per la fotografia, e l’immagine più significativa, dalla mia posizione defilata, sul lato destro del palco, è quella di una testa da bucaniere su cui si erge un violino ed il suo archetto, mentre la nostra storia musicale ritorna con forza sul palco.



Il secondo ospite è ormai il denominatore comune di tutte le invenzioni di Taulino.
Parlo ovviamente di Bernardo Lanzetti, “The Voice” .
Incontro un suo vecchio fan che mi da la sua chiave di lettura che condivido in pieno.
Le cose che colpiscono di lui, dal punto di vista tecnico, sono le enormi capacità vocali, la timbrica particolare, la sua voglia di sperimentare; ma ci sono elementi che completano il personaggio e lo rendono unico.
Bernardo è un trascinatore, e tra la gente è esattamente quello che vediamo on stage, una persona semplice, che ama il contatto con uomini e donne, l’ ideale per la realizzazione dell’interattività tra pubblico e artista.
Presenta alcuni brani della PFM (Traveler, Harlequin, Chocolate King, Maestro della voce, Dolcissima Maria), dei Beatles (Norwegian Wood, con Fabbri) di Dylan (Hurricane, ancora con Fabbri).
Nel suo show personale troviamo un po’ di tecnologia applicata alla voce, quando indossa il glovox (captatore di frequenze derivanti dalle vibrazioni delle corde vocali, poi trasformate in suoni ), ma le chicche dialettiche continuano, e si mischiano al pubblico quando scende dal palco con l’ asta del microfono e coinvolge tutti in un ritornello corale.



Il terzo ospite è Lucio Fabbri, il “violino “ per antonomasia.
Attacca con Bourée. Non avevo mai sentito una versione del genere e cerco di registrare il più possibile.
Questo brano, ascoltato mille volte da Ian Anderson e da chi lo coverizza, mi porta a riflessioni sull’unicità di certi strumenti all’interno della famiglia del rock. Flauto traverso e violino sono rimasti strumenti di settore, non introducibili in tutti gli svariati contesti che il mondo del prog ha proposto, ma l’utilizzo che Lucio Fabbri fa del suo strumento rende tutto apparentemente semplice, superando quel muro concettuale che relega il violino a puro strumento classico.
Mi piace, mi diverte e si diverte Lucio, e i suoi fraseggi mi riportano alle collaborazioni con Finardi e conseguente mente alla mia giovinezza.
Una chicca è “Hurricane”, dove “il violino e the voice” duettano alla grande, col pubblico attento e pronto a sottolineare i passaggi con applausi e contenute grida di approvazione.



Nessuno dei miei soliti compagni di viaggio mi ha seguito a Oviglio, e ha perso un grande spettacolo.
Il punto di vista di uno spettatore è spesso contrastante con quello di chi si esibisce.
Mentre il primo privilegia maggiormente il clima generale ed è felice se qualche brivido è partito dalla nuca ed è arrivato sino in fondo, il secondo è più critico, tecnicamente parlando, e memorizza i piccoli errori di cui è stato protagonista.
Questa sera di brividi ne ho sentiti parecchi, e non importa se spesso coincidono col fatto che qualche vecchio ricordo è riaffiorato … anche questa è un’importante funzione della musica.
L’ultimo di questi “fremiti” arriva in concomitanza col bis, quando cioè tutti i protagonisti della serata salgono sul placo per regalare l’ultima chicca, “Hey Jude”, con Lucio Fabbri alla chitarra.
Ancora un elogio alla Beggar’s Farm, diventata ormai la band che ho visto più volte nella mia “carriera”. E con loro i magnifici giovani che Franco Taulino propone a piccole dosi, spettacolo dopo spettacolo, preparando forse la formazione del futuro.
Chiaraluce, Garavelli, Ponti, Valle … bravi, puntuali, con una dote rara, quella di mettere tutti nella situazione di dare il meglio, senza cercare il protagonismo. Eppure loro sono protagonisti!